Ode a Mario Mandzukic

Originalmente pubblicato nel novembre 2018
Arrivato a Torino per rimpiazzare il partente Llorente, in queste prime tre stagioni e mezza alla Juventus Mario Mandzukic è stato tutto ed il contrario di tutto. Centravanti titolare o riserva, fascia destra, fascia sinistra, Allegri lo ha trattato come il suo feticcio flessibile, pronto ad essere adoperato nella posizione di campo più adatta al bene collettivo. È l’uomo — ancor più che il giocatore — che tutti gli allenatori vorrebbero seduti accanto a loro al settantesimo in un infrasettimanale bloccato sullo 0–0 ad Udine il 15 Febbraio. È la punta che va a prendere, riprendere, ed attaccare il terzino-regista della squadra avversaria.
Mario Mandzukic è stato costretto a sviluppare, sin dalla giovane età, la capacità di adattarsi al cambiamento, di riscoprisi dentro una situazione nuova. Croato nato in Jugoslavia il 21 Maggio 1986 quando la Croazia non ancora esisteva, cambia paese con la famiglia — Germania — per restare lontano dagli orrori della guerra. In Croazia avrà poi l’opportunità di portare a termine il suo sogno, diventare calciatore. Al primo anno a Zagabria, nella Dinamo dei fratelli Mamic, si fa notare per gli otto cartellini gialli più che per i 12 gol, dando l’idea di non essere esattamente la punta delicata e scivolosa in area di rigore. È solo il preludio della carriera di Mario Mandzukic e già basterebbe per diventare un film. Ma a Zagabria Mario è soltanto Mario. Non ha ancora manifestato le diverse forme di sè stesso che lo caratterizzeranno negli anni a seguire, sul campo e fuori.
Prima forma: Mario Mandzukic centravanti
Studia da numero 9, cresce da numero 9. La forma di centravanti è quella per cui Mandzukic è calciatore. La più lineare rispetto al suo passato, alla sua crescita. Eppure Mario non è mai stato il centravanti da 30 gol a stagione. Ha saputo crescere negli anni grazie ad un’interpretazione unica del ruolo. Alto ma mobile, potente ma agile. Decisivo nei duelli aerei quanto fondamentale in fase di appoggio e copertura.
A Wolfsburg si ritaglia più spazio dopo la partenza di Dzeko ma non sono i suoi 20 gol in due stagioni a convincere Heynches a piazzarlo al centro dell’attacco del suo Bayern. Dopo un Europeo 2012 da protagonista con 3 gol, sono gli strappi in fase di ripiego, l’intelligenza nell’adattare il suo gioco alla manovra offensiva, la capacità di aprire spazi per Robben, Muller e Ribery che convincono Heynches a relegare il Mario Gomez capocannoniere della precedente stagione — 26 gol in Bundesliga — ad un ruolo di comprimario. Non è un caso che il suo arrivo coincida con la stagione migliore della storia del Bayern. Bundesliga, DFB-Pokal e Champions League, triplete. Non ci riuscirà Guardiola — la cui interpretazione tattica costrinse Mandzukic a cercar casa a Madrid — non ci riuscirà Ancelotti, sostituito a sua volta dal semper fidelis Heynches.
Mario Mandzukic centravanti è una forma che ben si sposa soltanto con un certo tipo di allenatore. Se Guardiola e Simeone non hanno trovato in lui le caratteristiche del loro nove ideale, Heynches ed Allegri gli hanno saputo cucire un ruolo flessibilmente modellato sulle esigenze del collettivo.
Arrivato a Torino assieme a Dybala per sostituire i partenti Llorente e Tevez, Mandzukic si è dimostrato sin da subito diverso interprete rispetto allo spagnolo.

Più che dei dodici gol tra campionato e Champions League— 8 con 1 assist per Llorente in quella precedente — di Mandzukic in quella stagione si ricordano i 5 assist ed il contributo alla manovra offensiva. Impiegato perlopiù come punta al fianco di Dybala in un 352 — in alternanza con Morata — Mandzukic è diventato in breve giocatore fondamentale nel dettare i movimenti in uscita della difesa avversaria. La sua scalata sul terzino in fase di possesso bianconero, attirandolo verso il centro del campo e liberando di conseguenza la corsia mancina alle sue spalle, ha consentito alla Juventus di sfruttare al massimo le corsie laterali. I 34 gol realizzati in totale da Pogba, Khedira e Dybala in quella stagione (2015–2016) certificano l’importanza di Mandzukic nel creare i presupposti offensivi per mandare in gol i compagni.

L’arrivo di Ronaldo ha consentito al croato di tornare al suo ruolo di centravanti anche se diversamente interpretato rispetto alla sua prima stagione in bianconero. In questa Juventus, Mandzukic può sfruttare le attenzioni riservate a Ronaldo per cercare con maggior tranquillità il lato debole da colpire, riuscendo ad attaccare l’area di rigore in maniera meno prevedibile.
In questa prima parte di stagione Mandzukic è partito per il più delle volte da centravanti in un 433 con Ronaldo accanto e Dybala o Bernardeschi a girargli attorno, beneficiandone in fase realizzativa. Se nell’ultima stagione da esterno sinistro Mandzukic ha segnato 1 gol ogni 309 minuti, dall’arrivo di Ronaldo è salito a quota 1 gol ogni 173’, quasi dimezzando la distanza tra una rete e l’altra e migliorando la media della prima stagione in bianconero (1 gol ogni 199’).
Seconda forma: Mario Mandzukic esterno


Il compito di un esterno sinistro in un 4231 è profondamente legato alla capacità di coprire il campo con generosità e naturalezza riuscendo a ribaltare l’azione in fase offensiva. Se l’accelerazione nei primi 100 metri non è la caratteristica principale di Mandzukic, la generosità, quella no, non manca. È un ruolo che il croato ha imparato ai tempi della Dinamo Zagabria e che ha fatto suo il primo anno in Germania, dove la presenza di Dzeko ne limitava fortemente le possibilità di impiego da centravanti. L’arrivo di Higuain in bianconero ha costretto Allegri a cucirgli nuovamente addosso quel ruolo pur di non trovarsi costretto a lasciare Mandzukic in panchina. Il tecnico bianconero ha saputo esaltare caratteristiche distintive del croato come fisicità e capacità aerobica per creare un esterno che si rivelerà poi ideale per il contesto di gioco di quella Juventus.
“Mario è eclettico, quando ha voglia gioca dappertutto e determina perché è un giocatore pesante”, Allegri

Schierandolo sulla fascia Allegri ha la possibilità di aumentare il gap fisico con il rispettivo marcatore. Partendo largo, Mandzukic può sfruttare al massimo i suoi 190 cm contro i terzini avversari, ormai per stazza lontani dai Sebino Nela degli anni ’80. Mario Rui, Abate, Gabriel Silva, Florenzi, Rodriguez. Tutti laterali bassi colpiti, feriti, dominati da Mandzukic nei duelli aerei.
È un gap che permette di sfruttare al meglio i traversoni di Cuadrado ma anche un’opzione in più nell’impostare la manovra. In situazioni dove l’uscita di palla dalla difesa risulta troppo rischiosa, la Juventus può affidarsi al lancio lungo su Mandzukic e sfruttare le sua capacità aeree — 61% di duelli aerei vinti nella Serie A 2017/2018, secondo attaccante dietro a Dzeko — per rimanere in possesso del pallone in zona offensiva. La possibilità per il croato di attaccare la porta dall’esterno non offre soltanto una maggior qualità in fase di finalizzazione — dei 20 gol in carriera in Champions League, 11 sono stati realizzati di testa — ma crea anche i presupposti per consentire ai vari Dybala, Higuain, Khedira o Ronaldo di diventare micidiali nell’attacco delle seconde palle.

Nel ruolo di esterno, Mandzukic diventa il soldato ideale anche in fase di non possesso in quanto attento e diligente nel portare a termine il suo compito. La sua intelligenza lo porta a leggere perfettamente i momenti della partita, alternando in base a circostanze ed atteggiamento tattico abbassamenti sulla linea dei centrocampisti a fasi di pressing alto sui portatori di palla. La sua unicità sta proprio nella continuità in fase di pressing. Il croato non si limita alla copertura di una singola zona ma continua imperterrito obbligando l’avversario a liberarsi del pallone attraverso linee di passaggio maggiormente rischiose. Anche quando il suo pressing viene saltato dal palleggio avversario, Mandzukic insiste nel mettere pressione al portatore di palla cercando con frequenza il recupero del possesso. Attitudine che lo ha portato ad essere l’attaccante con il più alto numero di tackles vinti a partita (2) al mondiale di Russia.
Terza forma: Mario Mandzukic aggressivo
Non si è preso con Simeone. È un fatto. Testa a testa, fronte a fronte, forse troppo simili, forse troppo diverso Mandzukic dal giocatore che pensava di aver comprato Simeone. L’anno in Liga è tuttavia servito a Mario per allungare la sua lista di amici.
Otamendi, Sergio Ramos, Busquets. Quella di Mandzukic è sembrata sin da subito una crociata contro i brutti e cattivi del campionato spagnolo.
La forma aggressiva di Mandzukic, quell’attitudine continua allo scontro, alla lotta, è tuttavia sempre limitata al contesto di gioco del croato. Mandzukic concepisce il calcio con aggressività, lo vive nella stessa maniera a prescindere dal duello fisico. È aggressivo sul pallone, aggredisce le partite e non si tira indietro nei contrasti di gioco, alterco seguente compreso. Difficilmente lo si nota perdere il controllo della sua aggressività. È sè stesso, nel suo mondo, nel suo modo di vivere il campo. Un atteggiamento che lo porta a ricevere con frequenza cartellini gialli — 92 in carriera, 7 a stagione in media — ma che quasi mai sfocia in un cartellino rosso — soltanto 2 in carriera, entrambi per somma di ammonizioni.
La sua apparente impassività di fronte alle circostanze del quotidiano — ormai trasformatasi in meme fenomenali — potrebbe essere il segreto dietro alla sua naturale abilità di gestire le situazioni di campo in maniera impassibile, apparentemente sopra le righe ma in realtà perennemente in totale controllo.
“Qualsiasi persona può lottare come un guerriero per 10 minuti, per una partita o per un allenamento. Al contrario sono pochi i giocatori che sanno essere dei combattenti tutto il tempo come invece lo è Mario” Ante Cacic ex-CT Croazia
Quarta forma: Mario Mandzukic versatile
Che sia per la sua totale mancanza di espressività emozionale o per pura naturalezza, Mario sembra adorare la versatilità con cui viene impiegato dagli allenatori, Allegri in particolare. È una forma nata a Monaco, quando il suo lavoro di stress continuo imposto ai difensori avversari apriva spazi decisivi per i successi del Bayern, e sviluppatasi nella sua totalità a Torino, dove Allegri ha saputo plasmarne le caratteristiche per non perderne il fondamentale contributo nelle due fasi di gioco.
Oltre alla rigidità nell’eseguire il compito dettato dal suo ruolo, Mandzukic non finisce di stupire per l’intelligenza con cui adatta movimenti e gioco alle caratteristiche di chi gli sta attorno. Che sia Dybala, Higuain, Bernardeschi, Cuadrado o Ronaldo, Mario sa cercare gli spazi in maniera complementare, diversa, difficile se non impossibile vederlo calpestare le stesse zolle dei compagni d’attacco.
Dybala largo? Eccolo prima punta. Dybala sulla trequarti? Ok, ora affianca Ronaldo. Terzino piccolo? Va a saltargli in testa. Oltre alla staticità degli schemi numerici, la posizione ed il ruolo di Mandzukic variano a seconda delle circostanze in campo. In base al compagno di reparto, alla situazione, alle caratteristiche dell’avversario, sa reinterpretare il suo compito per facilitare il piano di gioco.

In questa immagine tratta da Croazia-Inghilterra, semifinale dei Mondiali di Russia, si nota come Mandzukic vada ad osservare posizione e movimento di Rebic per massimizzare l’efficacia della giocata che andrà a compiere. Sta per ricevere palla sulla fascia, compie un movimento largo a far uscire l’uomo in marcatura mentre cerca di leggere in anticipo l’evoluzione delle dinamiche di gioco. Se la giocata più facile lo vedrebbe controllare la palla e puntare l’uomo sulla fascia, lo sguardo veloce alle sue spalle gli permette di cogliere il miglior posizionamento di Rebic e di servirlo di prima nello spazio creatosi tra terzino e centrale avversari.
È una capacità di pochissimi quella di decidere cosa fare ancor prima di ricevere palla. Totti, Pirlo, Zidane. Lontani da Mandzukic per classe, eleganza e qualità tecnica ma non per attenzione verso ciò che sta succedendo intorno a loro. Come loro sa leggere, interpretare ed agire in pochi attimi. È un’ intelligenza che permette di proiettare posizioni e movimenti dei compagni rispetto all’evoluzione della partita, e che lo rende protagonista di appoggi di prima e giocate soltanto all’apparenza vanitose.
Quinta forma: Mario Mandzukic quando fa sul serio
Spogliatoio. Finale di Champions League. Nella tensione del pre-partita vuoi incrociare lo sguardo di un solo compagno. Mario Mandzukic.
Due finali di Champions League giocate, due gol. Primo calciatore croato a segnare nell’evento più importante del calcio europeo. Mandzukic è nato per giocare sotto pressione, ha realizzato il 50% dei suoi gol in Champions League negli ultimi 30’, quelli decisivi. Con una doppietta nei primi 45' a Madrid, nella passata stagione, aveva trascinato la Juventus a sfiorare l’impresa, aveva ridato possibilità ad una qualificazione chiusa, che nessuno poteva immaginare essere tirata in ballo già dai primi minuti di gioco. Un anno prima — avversario il solito Real — aveva colpito la difesa madrilena con una giocata da sogno, una rovesciata fantastica dall’angolo dell’area di rigore.

L’eccezionale rendimento sotto pressione non può essere figlio di una forma di vanità, non è dettato dalla voglia di essere il protagonista al centro dell’attenzione, nasce dal piacere della sfida, della battaglia nella sua essenza più primitiva, nel suo momento più intenso. È un’attitudine messa ancor più in risalto quando indossa la maglia croata. Il suo senso di appartenenza, la voglia di battaglia si esalta quando può rappresentare la sua terra, i colori della sua patria. Con la maglia della Croazia Mandzukic va oltre l’essere professionista, è il senso di identità che lo lega reciprocamente a chi gli sta affianco, ai suoi compagni. In Nazionale ha una media di un gol ogni 193' ma media che sale ad uno ogni 157' se si considera soltano i match nei due Mondiali disputati. Mandzukic sale di livello quando le partite contano, sa decidere quando la Croazia ha più bisogno dei suoi gol. In Russia è andato a segno 3 volte: negli ottavi, in semifinale — gol decisivo al 115’ contro l’Inghilterra — ed in finale.
Ha combattuto per tutta la sua carriera. Per il posto, per la palla, per vincere. Lo ha fatto con Dzeko, Gomez ed Higuain. Contro Otamendi, Sergio Ramos e Bonucci. Puntualmente lasciato fuori dai titolari nelle formazioni da Gazzetta estive e puntualmente in campo, da esterno, centravanti o seconda punta.
Mario Mandzukic merita il riconoscimento per chi è diventato, per aver saputo in questi anni reinventarsi più e più volte e per aver avuto un peso decisivo nelle vittorie di Juventus, Bayern e Croazia.
“ Questo è il mio modo di giocare, ho sempre fatto così: adoro il contatto fisico, fare pressing, aiutare i compagni. È una cosa che faccio da quando ero giovane ed è grazie a questo atteggiamento che ho avuto successo nella mia carriera.“


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