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Non ce li aspettavamo così

Sei rendimenti che non ci aspettavamo a inizio campionato.
Non ce li aspettavamo così

Gestire le aspettative è una delle cose più importanti nella vita. Non sto esagerando. Pensaci bene: quante volte ti ritrovi in ansia perché devi incastrare all'ultimo un impegno che non avevi previsto? O quando ti irriti perché chi vive con te non fa le cose come pensi andrebbero fatte?

Litigi a casa, delusioni al lavoro - dietro c'è quasi sempre uno scarto tra quello che ci aspettiamo e quello che accade davvero.

Hai delle aspettative anche adesso, mentre leggi questa lettera. Si sono formate guardando il titolo, l'oggetto della mail, basandoti su quello che di solito leggi quando arriva una mail da calciodatato@ghost.io.

E avevi aspettative anche sulle squadre di questo campionato. Magari solo su un paio, quelle per cui vale la pena investire energie ed emozioni.

Per questo oggi ti parlo di aspettative. Di quelle che avevamo a inizio stagione e che, arrivati a metà strada, si sono rivelate così distanti dalla realtà da farmi venire voglia di evidenziarle.

Il Como fa cose che non dovrebbe fare

Non è il momento ideale per vendere l’idea del possesso palla. Chi lo ha messo al centro del villaggio per dominare in Inghilterra, Spagna e Europa dà lezioni di vita a tredicenni a caccia di maglie firmate da rivendere su ebay.

L’allenatore che aveva trasformato il Bologna in una squadra da Europa ti sta deludendo così tanto da farti dubitare del valore stesso del possesso palla.

Eppure l’idea di usare il pallone per fare belle cose non è ancora sparita.

Non se vuoi dominare il tuo campionato. Ma neanche se vuoi cercare di mostrare a tutti che no, quel numero di gol subiti non è in linea con quello che concedi.

Sto parlando sempre del Como, sì.

Della loro abilità di fare possesso anche in Serie A avevo già scritto qui. Ma dietro a quella classifica preoccupante ci sono partite perse perché in porta avevano Audero, perché Braunoder si addormentava a ridosso della propria area o perché, davanti, le opzioni sono pur sempre Cutrone e Belotti.

Anche senza Varane, anche dopo mesi passati a inventarsi sostituti per Sergi Roberto e Perrone, il Como riesce a usare il pallone con efficacia senza prendere imbarcate.

So che detta così può suonare esagerata. Ma se segui questa newsletter, avrai visto anche tu qualche partita del Como. Sai che il loro possesso non è difensivo. Hai visto anche tu come muovono corpi e pallone in modo fluido. Come sanno utilizzare la diagonalità per risalire il campo velocemente.

I limiti offensivi sono quelli che li stanno portando ad acquistare 5 o 6 uomini, in questa sessione di gennaio, ma il Como sta facendo qualcosa di straordinario, per una neopromossa.

Lo si nota anche nel grafico qui sotto.

Ne hai visti più di uno, ormai, e sai che il quadrante in alto a destra tende a essere quello di chi fa le cose per bene.

In questo caso le due metriche sono possesso e xG concessi.

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Ecco, il Como è sopra media per entrambe. Fa più possesso del 74% delle squadre europee e concede meno xG dell’86% delle squadre europee.

Sono solo due metriche, ok. Ma pensaci un attimo: una neopromossa che gestisce il pallone così a lungo e concede così poco agli avversari è qualcosa di raro. Ancora più raro se consideri come lo fa.

Senza palla, il Como è più aggressivo di Juve e Milan, ma anche di Inter e Atalanta.

Quando c’è da creare pericoli dopo un recupero palla, poi, il Como è primo per conclusioni nate dopo una riconquista (alla pari dell’Inter) e terzo per xG prodotti (sempre entro 10 secondi da una riconquista).

Non so che aspettative avevi tu sul Como, ma guardare la classifica non è il modo migliore per capire come si stanno comportando, in questo campionato.

Marcus Thuram, oltre le attese

Se hai letto la newsletter della scorsa settimana su Lautaro, sai già che misurare l’efficienza realizzativa di un calciatore è una cosa complicata.

O meglio: per misurarla in modo da darle un valore predittivo serve tempo. Servono tiri. Serve un campione robusto.

Nel caso di Thuram, quel campione robusto è dato dal suo storico di sei stagioni. Da tutti i tiri effettuati con Guingamp, Gladbach e Inter (prima stagione).

Nel grafico qui sotto puoi notare diverse cose che magari non ti aspettavi.

thuram rendimento.png

C'è questa idea che Thuram, al Gladbach, non fosse poi così pericoloso. Ma i numeri raccontano una storia diversa. Il picco di xG per 90’ è arrivato proprio nel suo ultimo anno in Germania.

C’è dell’altro.

Quella colonna a destra ti mostra quanto Thuram sia stato efficace nel trasformare le occasioni in gol. Un rapporto gol/xG sopra l'1 significa che hai fatto meglio delle attese. Sotto l'1, peggio.

La tabellina colorata qui sopra ti fa capire che Thuram non è mai stato un attaccante particolarmente efficiente, sotto porta. Nelle 6 stagioni nei top 5 campionati europei precedenti a questa, si era allineato alle attese soltanto una volta: nel suo primo anno al Gladbach.

Anche nella scorsa stagione, il gap realizzativo tra lui e Lautaro era legato alla differente efficienza sotto porta più che a un’effettiva maggiore pericolosità dell’argentino.

Per questo il suo rendimento realizzativo di quest'anno è così sorprendente. Cosa sta facendo di diverso?

Le mappe di tiro ci dicono che le sue conclusioni stano arrivando da zone più concentrate dell'area di rigore.

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È cambiato qualcosa nel modo in cui sceglie da dove calciare - meno conclusioni improvvisate da posizioni improbabili, ma anche meno occasioni nitide dentro l'area piccola. Le "big chances" (quelle con xG superiore a 0.30) sono diminuite rispetto al passato.

Ha normalizzato il modo con cui sta andando al tiro, quindi.

Non credo che concludere meno da due passi dalla porta sia una scelta. Ma evitare tiri da zone meno pericolose, forse sì.

Un girone intero è già una bella fetta di stagione per fare considerazioni approfondite. Ma quando si tratta di capire se un giocatore manterrà questi livelli realizzativi, non basta.

C’è solo una cosa più difficile di segnare oltre le attese: mantenere il rendimento nel tempo.

Thuram sta da dio e forse continuerà a battere tutte le aspettative. Ma tra regressione alla media e storico realizzativo, gli indizi per pensare che il suo rendimento possa calare, nella seconda parte di stagione, sono piuttosto rilevanti.

Cosa fa peggio la Juve di Motta

I primi mesi di università sono stati un trauma. Arrivavo da 5 anni di liceo vissuti in ciabatte - sforzo minimo, voti buoni. All'università mi sono ritrovato senza metodo, senza saper studiare o organizzarmi.

Le bocciature mi avevano infilato in un tunnel di insicurezze. Nonostante il tutoring, nonostante mi impegnassi come un mulo, arrivavo agli esami già bocciato. Mi fidavo più dei fallimenti recenti che delle conoscenze accumulate.

Per uscirne non ci è voluto troppo, alla fine. Un paio di esami passati sono bastati per farmi capire che non ero un caso perso. Che potevo farcela, in fondo.

Ti sarà capitato anche a te, no? Quando affronti qualcosa di nuovo rischi di fallire non tanto perché non sei capace, ma perché non credi di esserlo.

Ecco, la Juve di Thiago Motta mi dà questa stessa sensazione. La vedo ancora incastrata tra il conservatorismo del suo allenatore, l'individualismo ereditato dalla gestione precedente e quella discontinuità creata dagli infortuni.

Come il Como, fanno tanto possesso. Come il Como, si difendono meglio della maggior parte delle squadre europee. Ma quel possesso, nel caso della Juve, è più difficile da accettare.

Non che producano meno del Como in attacco - anche se ci vanno vicino. È una questione di aspettative: dopo tre anni con Allegri ci aspettavamo qualcosa di più, almeno in fase offensiva.

E invece la Juve non solo fatica a creare, ma fa meno possesso di prima in tutte quelle zone di campo in cui si pensava non potesse fare meno possesso.

Nel grafico qui sotto, l’azzurro ti indica che la Juve di Motta concentra più possesso nella propria metà campo, lungo le corsie laterali. Ma meno in quella avversaria. A destra, ma ancor di più a sinistra. Al centro e dentro l’area di rigore.

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Quando Motta insiste su quella mezza occasione in più creata rispetto agli avversari, mi viene da pensare che stia cercando di proteggere la squadra. Di evitare che questa serie di pareggi diventi un peso mentale. Che convinca i suoi di non essere poi così forti.

Lo capisco. A volte basta pensare di non potercela fare per renderlo vero.

Una peculiarità tutta italiana

Tra difesa dell'area, compattezza e capacità di tenere gli avversari lontano dalla propria porta, il Parma è una delle peggiori difese d'Europa.

Mi dispiace dirlo, perché è una squadra piena di giocatori che ti fanno accendere la TV anche per un infrasettimanale delle 18:30 contro il Genoa. Ma i numeri parlano chiaro: nessuna squadra, in Serie A, concede più xG del Parma quando gli avversari costruiscono dal basso. Soltanto la Roma fa peggio quando deve difendere dei contropiedi.

Il Parma fatica a fermare le progressioni, a gestire gli spazi che si aprono sul secondo palo, o quelli alle spalle della propria difesa.

Coulibaly magari ti esaltava anche, quando usciva palla al piede dalla pressione portata male di quel Milan di Fonseca, ma se hai visto qualche partita del Parma, sai anche tu che c’erano spesso le sue disattenzioni, dietro ai gol concessi.

Insomma, il Parma non è il massimo quando c’è da proteggere lo spazio davanti a Suzuki. Eppure il numero di passaggi filtranti concessi — 1.80 a partita, il più alto in Italia — non è poi così disastroso, in fondo.

Non se lo confrontiamo con quello che si vede in Europa.

1.8 filtranti sono quelli che concedono a partita anche le due Manchester. Sono meno dei filtranti che vediamo infilarsi tra i corpi delle difese di Fulham e Brighton, di Marsiglia e Newcastle.

Le squadre dei 5 principali campionati europei che concedono più filtranti del Parma sono 23. Tante.

La cosa mi ha sorpreso. E mi ha spinto ad analizzare i numeri delle altre italiane. È emerso un pattern interessante: in Serie A si concedono meno filtranti che negli altri campionati.

Come mai?

Siamo più bravi a difendere quegli spazi a ridosso della porta?

Forse. Ma non è solo una questione di capacità difensiva. C'è anche una componente culturale: l'avversione al rischio che caratterizza il nostro calcio si manifesta nella riluttanza ad alzare il baricentro, nella preferenza per blocchi medio-bassi che riducono gli spazi tra le linee.

La difesa alta rimane un'eccezione, non la norma. La trappola del fuorigioco un'opzione per pochi. Il risultato è un contesto tattico in cui il passaggio filtrante diventa tecnicamente più complesso da eseguire, non solo da concedere.

La crescita di Leao

Viviamo in quel periodo storico in cui fare i complimenti a Trump è diventato più facile che farli a Rafael Leao. Sull'eccessiva severità con cui giudichiamo gli sportivi potrei scrivere una lettera a sé, ma non sei qui per questo.

Per uno dall’atteggiamento come il suo, che ha poca voglia di lavorare come lui, devi ammettere che Leao ha aggiunto parecchi elementi al suo modo di incidere sulla manovra del Milan.

Se non capisci bene di cosa sto parlando, ora ci arrivo.

Partiamo dalle basi: a Leao piace ricevere palla largo. Possibilmente sui piedi e in isolamento.

Nella scorsa stagione, però, quelle ricezioni larghe hanno cominciato a rendersi utili anche in un altro modo. Con Pioli ha sviluppato la capacità di usare la minaccia del suo talento per aprire spazi di cui beneficiava spesso Theo.

La connessione tra lui e Leao si è arricchita, nello scorso campionato, anche grazie a quei traccianti che nascevano da zone più lontane dal campo e che portavano palla verso il corridoio interno (quelli evidenzianti qui sotto nel grafico dello scorso campionato).

Dalla lettera dello scorso campionato sull'evoluzione del Leao rifinitore.

Ci avevo dedicato una lettera intera, quasi un anno fa, ma quei traccianti si vedono ancora, di tanto in tanto.

Non con la stessa frequenza, certo. Anche perché in panchina le cose sono cambiate già un paio di volte.

Considerando l’inizio di stagione, non avrei mai pensato che Leao potesse lavorare con Fonseca per aggiungere elementi al suo gioco. Il rapporto mi sembrava insanabile. San Siro aveva incominciato a coltivare nei suoi confronti quella frustrazione che pochi giocatori riescono a superare (non mi pare che l’abbia superata a pieno, a dir la verità).

E invece, anche da un rapporto difficile come quello con Fonseca, Leao è riuscito a ricavare qualcosa.

Che cosa?

Il suo repertorio si è evoluto oltre le ricezioni statiche. Se prima cercava quasi esclusivamente la palla sui piedi per poi puntare l'uomo, ora alterna questi movimenti a tagli in profondità che sfruttano i suoi evidenti vantaggi atletici. Lo abbiamo notato a Madrid e poi a Cagliari. Contro la Stella Rossa e a Bergamo. Con Fonseca, ma anche a Como con Conceição in panchina.

Quell'alternanza tra ricezioni sul corpo a movimenti senza palla è diventata un'abitudine, più che un'eccezione.

Già a Cagliari Leao aveva mostrato di potersi rendere pericoloso anche in modo diverso. Al centro, in basso o in profondità.

Leao ha aggiunto versatilità ai suoi movimenti ma anche le zone in cui si fa coinvolgere sono cambiate. Non è più così dipendente dalla corsia esterna per essere pericoloso.

Una delle combinazioni con cui il Milan di Bergamo cercava di risalire velocemente il campo, passando per il centro. Anche grazie a Leao

A lui e a Fonseca va il merito di aver lavorato per diversificare le zone di ricezione. Per diventare più incisivo anche nelle zone centrali del campo. Sia quando attacca la profondità che quando viene incontro per combinare nello stretto.

Leao sembra oggi più a suo agio anche sotto pressione, anche in quelle zone più trafficate del campo dove prima tendeva a evitare il contatto.

Leao che usa il tacco nelle zone centrali del campo per combinare in velocità con i compagni sta diventando una cosa piuttosto frequente.

Non ti ho ancora messo davanti un grafico, in questa sezione su Leao, ma è arrivata l’ora.

Quella linea azzurra che schizza verso l’alto proprio in questa parte di stagione indica quanti passaggi progressivi ha ricevuto in media Leao lungo il corridoio centrale del campo.

Ci aveva abituato a una media di 1.5-2.5 ricezioni centrali per 90’. Ora quei numeri sono quasi raddoppiati.

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Non è il momento giusto per dare meriti a Fonseca. Non sembra mai essere il momento giusto per dare meriti a Leao. Eppure, lavorando insieme, qualche aspettativa sono riusciti a superarla.

La Lazio che sorprende, e poi sorprende ancora

In positivo, perché in estate l'ambiente laziale sembrava poter essere il più instabile della Serie A. Perché si erano cambiati 3 allenatori in meno di dodici mesi. Perché figure iconiche erano state sostituite da Lotito, alla Lotito. Senza esaltare, ma con la solita idea di puntare sul talento di base. Che tanto, poi, c’è il lavoro di Baroni a compensare.

Non era scontato partire così bene, con tutti quei cambiamenti. Negli uomini e nelle idee.

La Lazio di Baroni si allontanava dai dogmi posizionali di Sarri per costruire relazioni lungo le corsie laterali. Metteva al centro dell’attacco uno di quei centravanti che gli allenatori adorano per il lavoro senza palla, ma non così prolifici da convincerti a pieno.

Un paio di mesi fa avevo sottolineato come la produzione offensiva della Lazio — per xG a partita — fosse sui livelli più alti dal 2017.

Ben oltre le aspettative estive, quindi.

Ma le aspettative cambiano in fretta. Per tutti.

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Non so se il tracollo con l’Inter abbia tolto qualche certezza in più o se le squadre del nostro campionato abbiano imparato a sfruttare i limiti della Lazio. Fatto sta che la produzione offensiva è calata. Creare 1.8 xG a partita era un rendimento difficile da mantenere, certo, ma una media di 1.2 rischia di non bastare per un posto Champions.

Anche perché il calo della Lazio non si è limitato alla produzione offensiva.

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Quella delle ultime settimane, infatti, sembra essere anche una Lazio più vulnerabile.

Dopo essere arrivata a concedere appena 0.7 xG a partita nei 10 incontri fino a Napoli - Lazio, il pareggio contro Como ha chiuso un ciclo in cui gli uomini di Baroni hanno concesso una media 1.1 xG a partita.

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Lo ripeto anche qui: non sono numeri preoccupanti se consideriamo il contesto storico o le medie del nostro campionato.

Ma mostrare un calo come questo in entrambe le fasi è piuttosto allarmante.

Nell’ultimo mese abbiamo visto una Lazio poco pronta, in difficoltà nel gestire i momenti difficili di partite giocate contro chi ha dalla sua più minuti insieme. Più certezze. Più esperienza.

Le mancano figure capaci di gestire il pallone su ritmi diversi da quelli a cui le piace viaggiare. E forse qualche soluzione in più tra difesa e centrocampo.

Forse è solo un periodo, o forse si è accesa una spia sulle potenzialità della rosa.

Non so cosa serva, a questo punto, per battere le aspettative, ma continuare su questo ritmo potrebbe non bastare.