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Cosa È Successo Nel Weekend Ep.13

Perché Juve e Inter non possono fare a meno del pallone, le scelte che hanno deciso Lazio-Napoli, e i limiti della Fiorentina.
Cosa È Successo Nel Weekend Ep.13

Juve e Inter non possono fare a meno del pallone

L’Inter ha così tanti modi per mandarti a vuoto che può farti fare brutta figura per 35 minuti anche se sei la Juve e giochi a Torino.

Per dire, può alzare Acerbi sulla linea di centrocampo creando problemi a chi dovrebbe tracciarlo.

Può combinare nello stretto con pazienza, sfruttando un lato sinistro che abbonda di gente dal piede pulito e le intese consolidate.

Ma può anche usare una delle due punte per testare i tuoi limiti. Per vedere quanta voglia hai di duellare. Abbassa Taremi o Lautaro per creare superiorità numerica a centrocampo e ritrovarsi fronte alla porta in pochi passaggi.

Nel primo tempo di Juve-Inter li abbiamo visti tutti, i modi con cui la squadra di Inzaghi sa prendere il controllo della partita. Trattando il pallone con cura — almeno fino all'arrivo in area — e sfruttando una pressione avversaria disorientata dai troppi riferimenti da seguire.

La Juve non è abituata a subire così tanto. Quest'anno aveva provato quella sensazione di persistente vulnerabilità solo contro il Benfica. Ma anche in quel caso, non a questi livelli.

Prima di ieri aveva concesso più di 1.6 xG solo 4 volte in stagione, l’Inter è riuscita a produrne di più in 45 minuti.

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Se nel primo tempo l'Inter sembrava poter manipolare il pallone a piacimento, è anche perché la Juve non riusciva a costruire quei possessi lunghi che vuole sempre imbastire.

Quelli che hanno provato a venderti Kolo Muani come centravanti di manovra devono essere rimasti sorpresi ieri sera. Se lo aspettavano lì a pulire palloni sporchi. E invece niente.

Per 45 minuti la Juve sbagliava molto sul corto e esagerava con la ricerca di soluzioni dirette. Kolo Muani e compagni si mostravano incapaci di riciclare quelle palle che uscivano dai duelli ingaggiati con i centrali dell’Inter.

Lo ha sottolineato Motta nel post-partita, ma lo si nota anche nei dati.

Nel primo tempo, i possessi della Juve sono durati in media 8.4 secondi - il dato più basso da quando c'è lui in panchina.

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Ma in Juve - Inter la possibilità di dominare l’avversario a lungo va conquistata. Entrambe hanno strumenti per creare pericolo che dipendono dalle intese collettive più che dalle iniziative individuali. Intese che vanno sfruttate fino a quando si fanno valere. A questo livello le partite cambiano, in fretta.

Quando ti dico che Inter e Juve non possono fare a meno del pallone, faccio riferimento alla loro natura, ma anche a quello che è successo ieri.

Nel secondo tempo, l'Inter sembrava meno attenta senza palla. I braccetti non aggredivano più la mezzala di parte come prima. Calhanoglu esitava troppo, perdeva attimi preziosi prima di staccarsi su Thuram.

La Juve riusciva ad uscire dal basso in modo pulito, mostrando rotazioni, combinazioni nello stretto e tracce verticali che rappresentano l’apice dei possessi di una squadra allenata da Thiago Motta.

Con Cambiaso, certo, ma anche nei minuti che hanno preceduto il suo ingresso (anche se dall’altro lato del campo).

Senza palla, la Juve riusciva a sporcare meglio le giocate dell'Inter. Non solo con una pressione più intensa, ma anche con una maggiore aggressività su tutte le linee.

I centrali avevano meno problemi a staccarsi in alto quando Taremi o Lautaro si abbassavano per ricevere palla. McKennie non si faceva disorientare quando Acerbi saliva per ricevere palla a centrocampo. E così l’Inter si rimetteva addosso la maschera che di tanto in tanto abbiamo visto in questa stagione.

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Quella da demone frenetico che fatica a costruire un possesso con pazienza, tirando fuori gli avversari, palleggiando con fluidità. Quella che la porta ad andare lungo in modo pigro, senza pazienza. E ad alimentare i possessi avversari.

Nei primi 30’ di partita, i lanci lunghi avevano rappresentato soltanto il 7% dei passaggi tentati dall’Inter nel terzo difensivo. Dal trentesimo in poi, quella percentuale è salita al 40%.

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Cosa ho imparato da questa Juve-Inter?

Che entrambe sbracano quando cercano il pallone con poco ordine. Che perdono il controllo quando pensano di potersene liberare in fretta.

E che nessuna delle due può permettersi di non prenderne cura.

Le scelte che hanno deciso Lazio-Napoli

La strategia aiuta. Può toglierti la pressione di dover risolvere problemi per conto tuo.

Ma la strategia passa da chi la deve eseguire. Dalle scelte degli individui, quindi.

Lo abbiamo visto anche in Lazio - Napoli.

Ormai lo sai: Conte vuole che i suoi creino fastidi alzandosi a uomo sulla costruzione avversaria. La Lazio non ha problemi ad andare lungo con Provedel, ma avrebbe gli uomini giusti per mandare a vuoto pressing aggressivi come quello del Napoli.

A Provedel toccava spesso scegliere, quindi: rischio o vado lungo?

Ha optato per la seconda opzione al sesto minuto. Se non te la vai a riguardare, la palla che porta al gol di Isaksen sembra banale. È facile confonderla per un lancio lungo qualsiasi alla ricerca del caos.

Fai caso a quello che succede attorno, però. Il lancio non è così preciso, ok. Ma la scelta ha senso.

Pedro si era abbassato per partecipare alla costruzione. Zaccagni, largo a sinistra, costringeva Rrahmani a preoccuparsi della corsa interna di Nuno Tavares.

La respinta è orribile, difficile anche da capire, ma dietro al Napoli spaccato in due c’è la minaccia con cui Nuno Tavares e il Taty fanno scappare i centrali avversari verso la propria porta.

Andare lungo è una scelta comprensibile, quando il Napoli ti viene a prendere in alto, ma la Lazio non ha figure imponenti per farsi sentire nei duelli aerei. Con Zaccagni e Pedro che danzano sui corpi storditi degli avversari, poi, cercare l’imbucata avrebbe anche senso, ogni tanto.

E infatti Provedel si fa tentare.

Al dodicesimo il pallone è ancora tra i suoi piedi. Tocca ancora a lui scegliere, quindi.

Pedro e Rovella si alternano per aprire un canale centrale e Provedel ci prova. Il filtrante, però, dovrebbe passare oltre troppi corpi. Il Napoli chiude bene le linee e recupera in alto proprio quando la Lazio non sembrava essere pronta a gestire una transizione negativa.

I possessi riconquistati nella trequarti avversaria saranno un tema per almeno quaranta minuti. Il Napoli creava poco ma generava transizioni veloci recuperando palla in alto per ben 8 volte nel corso della partita. Il secondo numero più alto in stagione.

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Tanti rispetto alla media stagionale, ma tanti anche perché le due squadre non hanno passato molto tempo nella trequarti della Lazio.

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Senza Neres e Politano, al Napoli serviva un riferimento capace di legare le connessioni più o meno fragili che creava lungo le corsie laterali.

Serviva Raspadori, quindi. E la sua capacità di manipolare le scelte di chi cerca di stargli dietro.

Lo si è notato anche nell’azione del secondo gol.

Con Lobotka schiacciato a costruire tra i centrali, Raspadori faceva spesso l’enganche. In questo caso riceve a trenta metri dal suo compagno di reparto in una zona di campo che sembrerebbe poco pericolosa. Sei d’accordo?

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Eppure nel calcio a volte il pericolo nasce piano piano. Si costruisce su mini vantaggi che migliorano le opzioni dei tuoi compagni e limitano quelle degli avversari.

Quando Raspadori scarica per Di Lorenzo, ha già cominciato a manipolare le scelte di Guendouzi.

Prima lo attira in alto su di sé facendogli pensare di poter recuperare palla.

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Poi lo spinge verso la sua porta, avanzando per riempire la trequarti. Quindi gli sfila via silenzioso per ricevere con agio a un paio di metri di distanza.

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Se Guendouzi non riesce a tracciare la corsa di Politano è perché ha passato gli ultimi dieci secondi a capire come orientare le sue corse.

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Ha scelto sì, ma le sue scelte sono state influenzate dal lavoro di Raspadori.

La strategia può organizzare il tuo pensiero ma tra piano ed esecuzione ci sono sempre le scelte di chi va in campo e la forza di chi riesce a influenzarle.

Il Como ha messo in mostra i limiti della Fiorentina

Senza Kean a trasformare palloni lunghi in possessi utili, la Fiorentina ha finito per rimettere sul piatto tutti i suoi limiti. Con e senza palla.

È anche merito del Como, certo. Della sua capacità di rendersi pericoloso in campo corto recuperando palla in alto e in campo lungo quando la Fiorentina si alzava con tanti uomini. Sfruttando la qualità nello stretto di Caqueret, Nico Paz e Perrone, o attaccando la profondità con un Diao finto esterno.

Se sei qui, ti aspetti anche qualche dato e allora eccotene un paio che provano la versatilità del Como:

  • Quando rubava palla e ripartiva veloce (tiri entro 10 secondi da una riconquista), ha creato 0.42 xG e un gol. Solo una squadra ha fatto meglio contro la Fiorentina in questo tipo di situazioni, in stagione.
  • Quando ha attaccato in contropiede è riuscito a produrre 3 conclusioni di cui 1 gol. Un record stagionale contro la Fiorentina, eguagliato solo dall'Empoli.

Pongracic dice che vanno in difficoltà quando devono fare la partita, e non ha torto.

Nelle ultime 5 partite, la Viola ha prodotto una media di 0.51 xG, un terzo rispetto a quello che produceva a novembre e la metà rispetto a quanto stava producendo a fine gennaio.

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Certo, la crescita degli ultimi mesi nasce da altro: dalla solidità difensiva, dal minimalismo con cui sa (sapeva?) sfruttare i suoi attacchi in campo lungo.

Il calo produttivo della Fiorentina non è una cosa nuova, quindi, ma il trend recente non sembra poter offrire troppi segnali positivi.